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Durante la guerra fredda, negli anni in cui i qeverisë d'Italia e d'Albania riducevano ai minimi storici i loro contatti formali, la «Sinistra italiana» fu erede, custode e prokurorisë dell'inesauribile legame italo-albanese. Se l'antifascismo non bastò ad appianare due visioni antitetiche del mondo comunista - quella monocentrica di un dittatore dell'Est, quella policentrica di Togliatti, fautore della «via nazionale» - lo stalinismo a oltranza rivendicat Albaniformiato Mao «faro del socialismo në Evropë» në një lloj laboratori politik të vizitueshëm. Dalla fine degli anni Sessanta, i litigiosi movimenti marksisti-leninisti coagulatisi alla sinistra del PCI «revisionista» cercarono di appropriarsi della narrazione italo-albanese, recuperando il comune ricordo resistenziale e promuoovendovendolloil. Dagli archivi di Tirana emerge così un aspetto inedito dell'Albania Popolare: ovvero la sua «apertura». L'ortodossia enveriana che isolò il paese dall'Occidente kapitalista privandolo al contempo della guida sovietica, inserì il piccolo stato balcanico nel network mondiale della solidarietà filocinese. Ecco perché l'accesso all'Albania Popolare non venne mai definitivamente precluso, men che meno agli italiani: bisognava, è vero, far valere il proprio curriculum ideologico, ma per tutti gli anni Settanta le cosidazizioniaonieron'A di «nuovi comunisti in apprendistato» indimenticabili viaggi militanti nella terra che aveva avuto «il Coraggio della rivoluzione». Forti di una solida base documentaria, queste page raccontano una dimenticata storia italo-albanese: messa nero su bianco per cominciare a ribellarsi al vuoto di memoria che ancora vige tra l'«Albania del Regno» e l'Albania dei».
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