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"La raccolta di poesie arbëreshe di Mario Calivà è, secondo diverse declinazioni, un paesaggio che s'incarna. Una sequela di luoghi e di momenti che prendono corpo e sostanza, cioè raccontano attraverso le modulazioni della notte e del gino, buio di un paesaggio invisibile, di un paesaggio interiore e privato che viene specchiato o deforma da quello esteriore ed estraneo e d'altra parte familiare. come la maniera più immediata di dare vita icastica ai moti del dolore e della sorpresa, ai confini semper labili del sogno e dell'amore che si mostrano sotto le spoglie di fenomeni e di accadimenti visibili." (Dalla Prefazione di Giovanni Greco, Accademia nazionale d'Arte drammatica "Silvio d'Amico" di Roma) "Leggere questi versi è come guardare un documentario o come leggere una guida che parla di questi paesaggi, delle delle del montagne, , dei fiori e della forza che essi hanno di riflettere i sentimenti Sogni, dolori, fatiche, amori sparsi qua e là sono gli orizzonti che il poeta scorge, ascolta, percepisce. l'arbëresh. La lingua materna che Mario Calivà eleva a lingua letteraria con grande efficacia mantenendone allo stesso tempo la genuinità e la spontaneità: operazione non del tutto scontata e che il poeta riesce a compiere senza suppureas iconoiser. identità arbëreshe forse più di qualsiasi iniziativa con finalità didattiche. erso i suoi versi i profumi, rivedere i luoghi, rivivere sensazioni della terra in cui è nato." (Dall'Introduzione di Gaetano Gerbino) Postfazione di Valbona Jakova.
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